Intervista al Generale Angiolo Pellegrini, tra il 1981 e il 1985 Comandante della sezione Anticrimine dei Carabinieri di Palermo

Il Capitano Billy The Kid e il Giudice: “Paolo Borsellino era l’unico che avrebbe potuto continuare l’opera di Falcone”

Intervista di Angelo Saso, Rainews24

Il Capitano Billy the Kid sul fronte di Palermo
A Reggio Calabria era conosciuto come il Mastino. Quando arrivò a Palermo all’inizio del 1981 per comandare la nuova sezione Anticrimine istituita dai Carabinieri per combattere la criminalità organizzata i suoi uomini lo ribattezzarono Billy the Kid. Il Capitano Angiolo Pellegrini aveva meno di 40 anni quando si trovò ad affrontare in prima linea la seconda guerra di mafia, quella che insanguinò la Sicilia e vide prevalere i “viddani” di Totò Riina sulle famiglie storiche dei Bontade, degli Inzerillo e dei Badalamenti. Un bagno di sangue senza precedenti, e non solo tra gli eserciti degli uomini d’onore. Sotto i colpi dei sicari di Cosa Nostra cadevano anche poliziotti, carabinieri, magistrati.
Il Capitano Pellegrini fu tra gli ultimi a incontrare il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici. “Sto per disporre l’arresto dei Salvo: Capitano, si tenga pronto”, gli disse allora Chinnici.
Era la fine di luglio del 1983 e pochi giorni dopo Chinnici sarebbe saltato in aria in un attentato in stile libanese che suscitò sgomento a Palermo e in tutta Italia.
Dopo Chinnici arrivò Caponnetto e l’embrione del pool antimafia prese finalmente corpo. Grazie soprattutto a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino.

Anatomia di Cosa Nostra
Il nuovo metodo permise di abbozzare per la prima volta una geografia delle famiglie di mafia.
Lavoro immane, portato avanti tassello dopo tassello.
Mancava però un “codice interpretativo”, qualcuno che potesse confermare dall’interno i legami e gli interessi occulti che i clan tessevano nell’ombra.
Mancava uno come Tommaso Buscetta, potente boss legato alla mafia perdente, arrestato in Brasile alla fine del 1983. Il Capitano Pellegrini fu tra gli investigatori che lavorarono per la sua estradizione in Italia. Quando il 15 luglio del 1984 Don Masino sbarcò a Fiumicino accanto a lui sedeva Angiolo Pellegrini. Lo stesso che con Falcone raccolse per mesi le sue dichiarazioni in una caserma di Roma, mentre tutti erano convinti che non avrebbe mai collaborato con la giustizia italiana.

Quei giorni in Brasile
Le trasferte in Brasile furono dense di lavoro e gravide di tensione. Ma via via che passava il tempo e l’estradizione si faceva più vicina tra gli investigatori italiani la tensione lasciava spazio anche a momenti di disimpegno.

E dietro il magistrato Borsellino comparve anche l’uomo.

Tra il Maxiprocesso e Capaci
L’estradizione dal Brasile di Buscetta, poi i fasti del Maxiprocesso.
Il più grande dibattimento mai celebrato, quello che avrebbe infranto il mito dell’impunità di Cosa Nostra.
Il Capitano Pellegrini viene richiamato da Palermo prima di poter vedere i frutti delle indagini condotte dalla sua sezione Anticrimine.
Quando arriva il giorno di Capaci ormai lavora a Roma, al Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri. Ma proprio quel giorno atterra a Punta Raisi, solo un’ora dopo l’arrivo di Giovanni Falcone e della moglie.

Perché nessuno convocò Borsellino dopo Capaci?
Al processo Borsellino Quater a Caltanissetta il figlio Manfredi lo ha detto chiaramente nell’udienza del 19 ottobre 2015. “Dopo Capaci mio padre aveva fretta di essere sentito dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sull’eccidio e non si spiegava perché non lo convocassero. Tanto che in un’occasione pubblica fece un intervento con cui tentò, secondo me, di sollecitare una convocazione”, ha detto in aula Manfredi Borsellino.

Perché Paolo Borsellino non è mai stato ascoltato?

Il giudice scrive
In quella stessa udienza del 2015 di fronte ai giudici di Caltanissetta, Manfredi Borsellino rievoca anche l’ormai celebre agenda rossa. “Dopo la strage di Capaci mio padre la usava in modo compulsivo. Scriveva costantemente. E si trattava sicuramente di appunti di lavoro e dell’attività frenetica di quei giorni”.

Anche il Capitano Pellegrini ricorda l’abitudine del giudice di appuntare su un quadernetto le informazioni e i collegamenti tra le inchieste che conduceva.
Ma quello dell’agenda rossa resta uno dei tanti misteri italiani.
“Mio padre – ha detto Manfredi Borsellino alla corte di Caltanissetta – dopo la morte di Falcone era consapevole che sarebbe toccato a lui e di essere costantemente in pericolo. Aveva l’esigenza di lasciare tracce scritte. Non poteva metterci in pericolo rivelandoci delle cose”.

L’intervista integrale Apri