di Alessandra Solarino e Augusto Piccioni
C’è stato un altro momento nella nostra storia in cui si indossavano le mascherine, quando bisognava tenere lontana la polvere delle case spazzate via dal terremoto. E anche l’odore della morte. “Ma allora potevamo abbracciarci e baciarci” sottolinea Rosetta D’Amelio. Anche il suo destino si è deciso quella domenica. Rosetta, lionese, viveva e studiava a Roma. Nella capitale aveva i suoi affetti, e ormai lì immaginava la sua vita. Ma l’esperienza di quella sera, di quei giorni segnati dal dolore e dalla rabbia, cambia tutto. “Se andiamo via i nostri paesi resteranno deserti”. Rosetta decide di restare, per aiutare la ricostruzione.

All’inizio si scava a mani nude, mancano gli attrezzi, anche quando arriva l’esercito sono i contadini a dare zappe e vanghe. Al campo sportivo si allestisce un punto di aiuto, e Rosetta è lì, con le altre donne, ad aiutare chi ha perso tutto. La voglia di aiutare gli altri porta in Irpinia anche don Tarcisio Gambalonga. Padovano, nel 1980 aveva 19 anni. Arriva a Lioni come volontario con un gruppo della Caritas e decide di continuare il seminario a Posillipo. Da allora non è più andato via, e oggi è il parroco di Lioni, la cittadina che ha contribuito a ricostruire, com’era e dov’era.