Intervista a Salvatore Cusimano

Cusimano è stato il primo cronista televisivo a dare la notizia dell’attentato a Falcone

“Falcone capisce che bisogna inseguire i soldi. Se trovi i soldi, trovi la mafia”

Parla Salvatore Cusimano, giornalista Rai, direttore sede Tgr Sicilia

Intervista di Elisabetta Marinelli, Rainews24
Registrata a Palermo, l’11 maggio 2016

Cosa hai visto mentre venivi qui a Capaci ?

Salvatore Cusimano al TG1

Salvatore Cusimano al TG1

La notizia è arrivata da colleghi che erano in redazione – io quel giorno ero libero era…-. Facevo il cronista giudiziario e quindi l’unico giorno in cui riposavo era il sabato ovviamente mi sono precipitato in redazione, dove ho trovato tutti i colleghi in una condizione – devo dire – psicologica di grande sofferenza, di grande tristezza, tutti sapevamo che quel gesto della mafia o di chi lo aveva deciso era un gesto estremo che avrebbe avuto delle conseguenze fortissime per Palermo e per l’Italia.

Cosa hai visto mentre ti recavi sul luogo dell’attentato, mentre venivi qui – perché dove stiamo registrando questa intervista, questa nostra chiacchiera – come era il cielo sopra capaci mentre arrivavi qui?

Devo dire che c’è stato immediatamente il blocco dell’autostrada, quindi era impossibile avvicinarsi. Un nostro collega – Marco Sacchi un operatore della RAI – è riuscito con un mezzo di fortuna, con una motoretta, a filtrare a raggiungere il luogo e oggi le immagini che tutto il mondo ha potuto vedere sono opera sua, ha realizzato quelle immagini ha detto “tremando, con la telecamera che mi tremava sulle spalle”; queste immagini sono poi diventate patrimonio di questo paese perché immediatamente dopo qualche ora abbiamo fatto la diretta sul TG1 e poi su tutti…tutte le reti della RAI. C’è da dire che, io sono arrivato qui la sera tardi e poi l’indomani mattina sono arrivato all’alba mi sono messo d’accordo con le forze dell’ordine ho chiesto di vedere i luoghi – volevo rendermi conto di persona di che cosa era accaduto non soltanto attraverso le immagini – e ho fatto una diretta di quindici minuti da solo – per raccontare a me stesso innanzitutto – che cosa era accaduto.
Va precisata una cosa: io avevo un legame molto forte con Giovanni Falcone con Paolo Borsellino, erano delle mie fonti costanti, delle persone che incontravo spessissimo almeno un paio di volte a settimana, per capire che cosa si muoveva dentro l’universo di Cosa Nostra, e quindi era una persona a cui ero legato, che rispettavo profondamente da cui sentivo di avere rispetto e quindi per me era quasi come perdere un amico, anche se non mi posso considerare un amico di Giovanni Falcone.
E l’incredibile che è accaduto è stato questo, è una cosa su sui mi interrogo costantemente da quando…da tanti anni, come è stato possibile che mi sia potuto occupare di un uomo che conoscevo che stimavo che considerare dentro la cerchia delle persone a cui ero più legato, come se fosse un caso di cronaca qualunque? mantenendo cioè un po’ di freddezza, un po’ di distacco per cercare di non farmi sfuggire nulla di quello che stava accadendo intorno a me.

Quali sono le immagini, le sensazioni più forti che ti sono rimaste?

Intervista a Salvatore Cusimano

Intervista a Salvatore Cusimano

Ma devo dire che le immagini che si sono mantenute nel mio ricordo sono soprattutto quelle di Giovanni Falcone vivo, e.. poi…ovviamente l’auto blindata che si è schiantata contro i detriti per l’esplosione. Quell’immagine ritorna costantemente, ma io mi ricordo soprattutto il Giovanni Falcone vivo e anche Giovanni che sorride, io ho avuto la fortuna qualche tempo prima di incrociarlo ad un convegno a Ustica, dove lui era totalmente rilassato in costume da bagno…nuotava – il mare era una delle sue grandi passione…passioni – ed era un altro uomo rispetto a quello che noi incontravamo, sempre molto riservato, sempre molto serio, un po’ accigliato, ecco io preferisco ricordare quel Giovanni Falcone.

Ti aspettavi quello che è successo? Era prevedibile?
Ovviamente io facevo il cronista giudiziario e mi incontravo costantemente con tutti i colleghi che facevano cronaca giudiziaria dei giornali delle televisioni parlavamo di questa scelta di Falcone di andare via, di andare a Roma… Io avevo immaginato – chissà perché – che a Roma lui fosse in qualche modo in una situazione finalmente più serena, cioè che non corresse più rischi – e invece evidentemente mi sbagliavo e mi sbagliavo clamorosamente -, ovviamente devo dire che dopo la sentenza del gennaio del ’92 sul Maxiprocesso, qualche pensiero brutto l’ho fatto.

Perché la mafia ha ucciso Falcone?
È una risposta che credo nessuno in questo paese abbia. Non ce l’hanno i magistrati che hanno sostanzialmente concluso l’inchiesta, i due processi “Capaci 1”, “Capaci 2” concludendo che c’è stata solo la mafia dietro.
– Questo interrogativo io me lo continuo, invece, a porre e penso che una domanda va posta fino a quando non avrai una risposta definitiva -. Certamente l’assassinio di Giovanni Falcone era un atto di vendetta ma, anche un atto che mandava un messaggio alla Stato e lo mandava a quelle forze politiche che in qualche modo avevano avuto uno scambio con la mafia, avevano avviato una trattativa ovviamente la morte di Falcone è un segnale fortissimo verso qui politici che forse avevano promesso di dare un appoggio alle istanze di Cosa Nostra e poi non avevano mantenuto questa promessa.

Falcone doveva essere ucciso a Roma, perché Totò Riina cambiò idea e decise che l’esecuzione avvenisse qui in questo…a Palermo, qui a Capaci in modo tanto spettacolare?
Nell’autunno dell’anno precedente, del ’91, Cosa Nostra – si è saputo dopo – ha tenuto tante riunioni in cui sono decisi una serie di omicidi, si è deciso l’omicidio di Martelli, l’attentato a Maurizio Costanzo e poi anche l’attentato a Giovanni Falcone, e venne inviato un drappello di killer, killer di tutto rispetto personaggio come Matteo Messina Denaro – che è l’unico latitante che resta di questo gruppo corleonese – e…a Roma per uccidere Giovanni Falcone, ma sarebbe stato un omicidio – come dire – qualunque che non avrebbe determinato – secondo me – una reazione così forte e…la mafia voleva mandare un messaggio eclatante, questo messaggio eclatante dovesse essere diretto non solo all’interno della mafia – Totò Riina è Totò Riina e decide la vita e la morte di chi vuole, anche di chi è protetto –, ma è un messaggio anche allo Stato, quel tipo di attentato con più di 400 kg fra esplosivo da cava, tritolo e T4 è in realtà un segnale terribile.
Questo Paese era in ginocchio, questo Paese era alle prese con una tormentatissima sessione per l’elezione del Capo dello Stato, Giulio Andreotti era uno dei candidati per l’elezione e quell’uccisione, quel tipo di attentato il Paese in ginocchio, era un segnale anche per Andreotti che infatti non sarà poi alla fine più candidato.

In…ecco prima…volevo chiederti una cosa – prima di parlare del documentario in cui hai ricostruito il metodo di Giovanni Falcone -. È giusto parlare quindi di svolta politica della mafia?
Ma la mafia è la mafia perché ha sempre avuto un collegamento fortissimo con la politico, fin dagli anni ’60 non c’è stato un momento della storia di Cosa Nostra in cui il rapporto con la mafia non fosse forte; quindi non c’è stata un’evoluzione politica di Cosa Nostra semmai c’è da dire che c’è stata un’evoluzione terroristica di Cosa Nostra. Ma il rapporto costante con la politica con l’economia con gli imprenditori con i professionisti è stato un rapporto costante, senza quell’acqua di cottura, senza il rapporto con la politica con gli imprenditori e con i professionisti, che risolvono tutti i problemi che la mafia e gli ingenti capitali di Cosa Nostra e…disponibili, e…senza quel rapporto non sarebbe stato possibile che la mafia si rafforzasse fino al punto da decidere un attento e una sfida così alta allo Stato.

In cosa consisteva il metodo Falcone?
Giovanni Falcone quando arrivò a Palermo, dopo le prime indagini che gli vengono affidate da un grande Magistrato, Rocco Chinnici il consigliere istruttore – era il Vecchio Codice, bisogna ricordarlo, in cui il Giudice Istruttore era il motore delle indagini – ebbene Falcone capisce che la mafia è un sistema unitario e allora bisogna contrapporgli non solo un gruppo di persone specializzate che possano tenere insieme il filo di tutte le indagini, ma anche che ci vogliono nuove normative, nuove legislazioni. Ebbene, questa azione del pull antimafia, la costituzione del pull antimafia di questo gruppo alla fin fine – diciamo – ristretto di magistrati 6/5, all’inizio 4 poi 6, magistrati che coordinano tutte le immagini…le indagini che coordinano tutte le indagini che si fanno portare i fascicoli, che cercano di comprendere i legami tra i singoli componenti delle organizzazioni criminale e anche i loro affari, ebbene questo da la svolta alle indagini insieme con un altro momento – non secondario – e cioè Falcone capisce che bisogna inseguire i soldi. Se trovi i soldi, trovi la mafia, trovi le interconnessioni tra un gruppo criminale e l’altro, non solo in Italia ma anche all’estero e allora lui – che veniva dal civile e aveva…si era occupato di fallimenti, che sapeva leggere i bilanci più dei molti suoi colleghi che venivano dal penale – è sicuramente una rivoluzione per il modo di indagare sulla mafia.
E poi c’è da dire che l’eredità che lascia Falcone è il suo gruppo di lavoro a cui poi bisogna aggiungere Antonino Caponnetto che arriverà dopo a sostituire Rocco Chinnici dopo l’attentato appunto di Via Pipitone Federico, quando Rocco Chinnici viene fatto saltare in aria con un’auto bomba – quindi un altro attentato di tipo terroristico – ebbene quella…quella grande quantità di norme nuove costituirà il sistema legislativo più avanzato del mondo. Questa è l’eredità di Giovanni Falcone: aver lasciato un corpus di legge di e…di…a…modi di aggredire i beni criminali, di aggredire l’organizzazione criminale che non ha eguali in tutto il mondo.

Ci sono alcuni punti oscuri da chiarire: chi avvisò la mafia dell’arrivo a Palermo di Falcone e della moglie; c’è il pentito La Barbera che, sia in fase di dibattimento processuale sia in interviste recenti, insiste sulla presenza di un uomo esterno alla mafia durante l’organizzazione dell’attentato e questo tiene aperta una ipotesi sui servizi segreti… e qualcuno parla delle valigette del computer di Falcone che sono sparite dalla Fiat Croma subito dopo l’attentato…c’è…ci sono delle foto che sono state sequestrate quel giorno al fotografo Antonio Vassallo, tu cosa pensa di tutte queste domande rimaste sospese?

Intervista a Salvatore Cusimano

Salvatore Cusimano

Allora molte di queste domande, c’è da dire che c’è già stato una risposta nel Processo di I° grado che si è celebrato sulla Stage di Capaci, per esempio la presenza di alcune persone non…non…non identificate su uno di questi stabili, che stanno sostanzialmente sotto di noi, oppure un altro cantiere che era vicino all’autostrada, insomma in cui in qualche modo si poteva preparare il materiale necessario per l’esplosione, tutto questo è stato cacciato via dai magistrati dicendo che erano – come dire – prive di fondamento.
Sulla vicenda de La Barbera e… La Barbera nel secondo processo è stato messo a confronto con Brusca e Ferrante, che sono due dei protagonisti di quella giornata perché Brusca è colui che preme il pulsante per l’esplosione Giovanni Brusca, mentre Ferrante è uno di quelli che ha seguito Falcone dall’aeroporto e da la battuta – come si dice in gergo mafioso – e cioè da l’indicazione che – come dire – l’obiettivo è entrato, può entrare, nel mirino degli attentatori. Ebbene, i due smentiscono La Barbera, sostengono che non ci sono mai state altre presenze sul…sul luogo dell’attentato nella fase di preparazione dell’attentato. Attentato – che va ricordato – è stato preparato dal..dai gruppi criminali di cui Riina si fidava di più e quindi Ganci della Noce, Matteo Messina Denaro, i Brusca di San Giuseppe Iato e cioè alleati storici di cui Riina e…si fidava ciecamente e a cui aveva affidato molte delle stragi degli attentati dei regolamenti di conti in tutti quegli anni. Quindi, e…i Pubblici Ministeri – che certamente hanno fatto indagini, Caltanissetta ha fatto indagini approfondite – ritengono che non ci sia altro movente oltre quello indicato e che non ci siano altri mandati, quell’inchiesta insomma dei mandanti occulti, oltre Cosa Nostra che avrebbero deciso l’attentato di Capaci, non ci sarebbero.
Ovviamente i giornalisti possono seguire le loro strade; a me mi continua a sembrare e…strano che un attento di queste proporzioni sia avvenuto o…solo per mano criminale e sopratutto rimane ancora senza risposta quello che dicevi prima tu e cioè perché è stato fatto per forza in Sicilia? Quale ragione aveva spinto Riina ha farlo in Sicilia? E poi gli interrogativi dell’attentato a Falcone vanno sommate agli interrogativi per l’attentato, per la strage di Via D’Amelio di 57 giorni dopo, anche lì perché è stata accelerato l’attentato per Borsellino? Sono quesiti su sui secondo me ancora i giornalisti e gli storici e gli analisti devono continuare ad interrogarsi.

Cosa è rimasto di Falcone a Palermo, al di là del mito?
Su Falcone, Palermo e la Sicilia ma anche tutto il paese, si è sempre diviso. Ci sono stati quelli che lo hanno mitizzato dall’inizio e ci sono quelli che invece gli si sono opposti anche a Palermo. E… – bisogna dire che – ovviamente la figura di Falcone si afferma in un momento storico in cui la città, anche dal punto di vista politico e sociale della società civile, aveva un grande fermento c’era stata la “Primavera di Palermo”, c’era stato la prima sindacatura Orlando, insomma le cose cominciavano a cambiare perché la mafia, il nome della mafia, finalmente veniva pronunciato – perché sulla mafia c’era sempre stato il silenzio, la parola non si poteva pronunciare, non la pronunciavano i politici, non la pronunciava la chiesa, non la pronunciavano gli economisti che dicevano di non essere ricattati dalla masia..mafia mentre si è scoperto che tutti o quasi tutti pagavano il pizzo e le tangenti per poter lavorare oppure addirittura le azienda che venivano dalla… dal resto del paese venivano in Italia e stringevano patti con Cosa Nostra per potere svolgere il proprio lavoro e costruire i viadotti, le autostrade e così via -.Ebbene quindi già nel ’92 e…il paese sa che cos’è la mafia, quanto sia grave, che fenomeno pervicace sia e nello stesso tempo comincia a capire che Giovanni Falcone ha regione, quelli che non lo sostengono – che saranno una parte rilevante della regione, della città e anche del paese -, spesso lo fanno per ragioni ideologiche o all’interno della magistratura per ragioni molto più, come dire, meschine che so hanno a che fare con la politica delle correnti, degli scambi in realtà fra le correnti, e bisogna ricordare – questo è giusto dirlo – che Falcone ha avuto molti nemici anche all’interno della magistratura.

Un’ultima domanda, tu conoscevi personalmente Giovanni Falcone, lo sentivi spesso durante la settimana, ha mai avuto paura oppure tu hai mai percepito che lui ne avesse?
Io, come molti altri…pochi altri colleghi, avevamo un rapporto professionale molto stretto con lui, lui non amava perdere tempo quindi per esempio noi lo incontravamo solo di pomeriggio quando il Palazzo di Giustizia era deserto arrivavamo bussavamo, lui era in maniche di camicia, ascoltava musica classica con le sue amate stilografiche scriveva atti, allora ci dedicava fugacemente del tempo, ci diceva “Fate in fretta che ho da fare, non sono scioperato come voi”, e allora ci raccontava – ovviamente quello che poteva – sopratutto ci aiutava a non fare errori, ebbene e…e…Falconeeee ha sempre – secondo me – avuto chiaro quale poteva essere il suo futuro e il suo destino, non lo diceva volentieri se qualcuno gli chiedeva “Ma, e… Giudice Lei ha paura?” lui diceva sempre “certo che ho paura, chi è che non ha paura, però noi dobbiamo andare avanti lo stesso come se in realtà tutto lo stato e tutta la società civile fosse con noi, e penso che Falcone come Borsellino, ci abbiano creduto e cioè che si potesse vincere e che il paese potesse essere con loro fino in fondo, e…poi viveva – secondo me – come siciliano, hanno questa idea che il destino in qualche maniera è ineluttabile, ma allo stesso tempo se c’è da fare una cosa, tu la devi fare ebbene quella cosa va fatta e Falcone e Borsellino hanno fatto il loro dovere.

BIOGRAFIA SALVATORE CUSIMANO
Giornalista professionista dal 1987. Vincitore della borsa di studio promossa dall’azienda radiotelevisiva pubblica per la formazione di nuove leve di giornalisti nel 1980, ha svolto la sua attività al Giornale di Sicilia, da metà del 1983 all’inizio del 1986, per tornare alla Rai nell’aprile del 1986 presso la redazione di Catania. L’anno successivo è stato trasferito a Palermo. È stato inviato speciale. Corrispondente delle principali testate della Rai e del Tg1 in particolare per più di dieci anni. Si è occupato prevalentemente di cronaca nera e giudiziaria seguendo i più gravi fatti di cronaca che hanno segnato la storia della Sicilia, dal maxiprocesso alla stagione delle stragi del ’92, fino al processo Andreotti. Sua la diretta per il Tg1 con le prime immagini trasmesse dalla Rai sull’eccidio di Capaci. È stato anche responsabile del settimanale internazionale Mediterraneo, co-prodotto da Rai, France 3 e Tv svizzera italiana. Nel 2000 è stato nominato caporedattore della TGR Sicilia, responsabile del telegiornale regionale. Nel 2003 ha assunto la guida, come caporedattore centrale, della redazione Raimed Mediterraneo. Nel 2006 è stato nominato direttore della sede siciliana della Rai. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti. Nel 1986 ha vinto il premio nazionale per l’inchiesta Mafia in corsia, messa in onda da TG2 Dossier. Negli anni successivi riceve vari riconoscimenti da enti e associazioni, fra i quali in particolare quelli della Fondazione “Gaetano Costa” , intitolata al procuratore della Repubblica di Palermo ucciso dalla mafia il 6 agosto del 1980. Nel 1997 ha vinto il premio internazionale indetto dall’Associazione europea delle televisioni mediterranee per un documentario realizzato sulla Turchia, Le sofferenze di Istanbul , e sugli intrecci fra criminalità organizzata, politica e terrorismo. Nel 1998 riceve il Premio nazionale dalla Regione Calabria per il complesso dell’attività giornalistica svolta e in particolare per la denuncia del fenomeno mafioso e delle sue collusioni politiche e istituzionali. Tra i tanti riconoscimenti anche uno della Presidenza della Repubblica per una serie di reportage realizzati nella Valle del Belice in occasione dell’anniversario del tragico terremoto del 1968. Insieme a Gian Mauro Costa ha pubblicato nel 2010 per la ERI il volume L’isola in onda, storia della Rai siciliana, raccontata attraverso le testimonianze di molti dei suoi protagonisti. Nel 2015 ha realizzato il documentario Nella terra degli infedeli, sulla figura e l’opera dei giudici Falcone e Borsellino e sul metodo di indagine che si è rivelato centrale per la lotta alla mafia.