
Falcone, quel sabato di maggio a Capaci
Le emozioni di Capaci
Sono passati 25 anni ma il tempo non mitiga le emozioni di quel maggio del 1992. Quell’autostrada che si apre con un boato inaudito e inghiotte l’uomo che era divenuto il simbolo della guerra al potere di Cosa Nostra è scolpita nella memoria di chi c’era e di chi quel sabato pomeriggio rimase muto e impietrito di fronte all’edizione straordinaria del Tg1 che raccontava la strage, praticamente in diretta.
Il racconto di Salvatore Cusimano – Edizione straordinaria TG1 del 23 maggio 1992
Il giorno dopo i giornali ritraggono un Paese sgomento, inorridito dalla brutalità dei 200 chili di tritolo che hanno sventrato centinaia di metri di asfalto, trasformato le pesantissime fiat croma blindate in scatole di latta e dentro quelle macchine hanno seminato terrore e morte.
“Orrore, ucciso Falcone”, titola il Corriere della Sera, mentre su Repubblica Forattini disegna la sua celebre Sicilia-Coccodrillo nell’atto di divorare un falcone. Uno sconvolto Norberto Bobbio su La Stampa parla di “Patria in pericolo”.
In quell’inizio di estate del 1992 l’inchiesta Mani Pulite della Procura di Milano non ha ancora rivelato a pieno la portata del terremoto giudiziario che sta per abbattersi sui Palazzi romani, che in quei giorni di maggio si dibattono nello stallo e non riescono ad eleggere il successore di Francesco Cossiga alla Presidenza della Repubblica. Anche sul fronte economico si stavano addensando all’orizzonte nubi nerissime, presaghe di tempeste monetarie sulla Lira e di manovre finanziarie lacrime e sangue per salvare l’Italia dalla prospettiva mai tanto concreta di un fallimento.
E’ in questo scenario che l’attentato a Giovanni Falcone acquista uno spessore se possibile ancora più drammatico: Cosa Nostra aveva deciso di scatenare contro un uomo solo – il Giudice istruttore che per primo era riuscito a portare alla sbarra decine dei suoi affiliati – una potenza di fuoco mai vista in Sicilia, in Italia e in Europa: la mafia vincente di Totò Riina e di Bernardo Provenzano aveva scientemente deliberato di alzare il livello della sfida allo Stato, per vendicare l’impunità perduta “per colpa” di Falcone.
Tra le lamiere contorte di Capaci si scrive l’epilogo di una storia che vede un uomo e la sua intelligenza sfidare la mafia come nessuno aveva mai fatto. Chi allora non c’era – chi oggi ha meno di 20 o anche 30 anni – ha forse tratto dalle celebrazioni che ogni anno marcano la data del 23 maggio l’idea che Giovanni Falcone sia stato per i suoi contemporanei un simbolo e un eroe. Un paladino dello Stato, che lo Stato ha messo nelle condizioni di portare avanti il suo lavoro paziente di indagine e di riscontro.
Ma non è così.
Da La storia siamo noi: “Temperamento e carriera di Falcone”