La fine del pool
Il nuovo responsabile dell’Ufficio Istruzione di Palermo Antonino Meli smantella il pool, semplicemente. Mostra da subito di considerare una forzatura delle regole il modus operandi adottato negli ultimi anni nelle indagini di mafia da Antonino Caponnetto e dai Giudici istruttori della sua squadra, a cominciare da Giovanni Falcone.
Claudio Martelli sulla fine del Pool
La macchina investigativa che aveva portato al primo tangibile successo nella lotta a Cosa Nostra viene disarticolata con scientifica, burocratica precisione. E tra i veleni di Palermo cominciano a volare i corvi.
Quando nel giugno del 1989 sulla scogliera della villetta di Falcone all’Addaura vengono trovati 50 candelotti di tritolo c’è chi arriva a dire che quell’attentato il Giudice se l’è fabbricato da solo, per guadagnare simpatie, consensi, sostegni.
Sono mesi di amarezze e incomprensioni per un uomo che si aspettava forse – se non di essere elogiato e sostenuto dalle istituzioni – almeno di non esserne osteggiato, combattuto, massacrato.
Le accuse arrivano da ogni parte, ma è soprattutto il fuoco amico che fa male.
Una delle accuse ricorrenti che viene mossa a Falcone è di tenere nel cassetto le inchieste più “delicate”, quello che coinvolgono il cosiddetto “terzo livello”, gli ambigui rapporti tra gli apparati dello Stato e gli apparati di Cosa Nostra. “Chinnici ha lasciato faldoni e scatoloni pieni e Falcone se li tiene ben chiusi negli armadi”, dicono. La voce trova ascolto in molti ambienti, fino a diventare un esposto formale presentato al Consiglio superiore della Magistratura. Che lo convoca a Palazzo dei Marescialli a Roma perché si difenda da quelle accuse infamanti.
E’ il 15 ottobre del 1991.
Martelli: l’umiliazione di fronte al CSM