di Antonio Emilio Caggiano
Il poeta e scrittore Franco Arminio ci accoglie a Conza della Campania, epicentro del sisma del 23 novembre 1980, non per commemorare il passato, ma per invitare ad aprire un ragionamento sul futuro
“Ora hanno un respiro rassegnato questi paesi. Non sono più luoghi del sangue, non ci sono più alberi e angoli segreti, e non c’è più una morte che sia solenne, sembrano morire come foglie, come semplici conseguenze di un affanno”.
A parlare è Franco Arminio, studioso della parola scritta in tutte le sue forme. Si è dedicato principalmente alla poesia, ma non solo. Il suo nome è accostato a numerose opere letterarie dei nostri tempi, ad alcuni affascinanti documentari e ad eventi culturali. È l’inventore della paesologia, la disciplina che porta alla riscoperta e alla narrazione del patrimonio culturale dei borghi italiani. Nato a Bisaccia, in provincia di Avellino, oggi è uno degli artisti più amati a livello nazionale.
“Il terremoto ha accentuato una mutazione che era già in corso, una sorta di rottamazione del mondo contadino verso una modalità incivile. Anno per anno ci siamo prima illusi che questa ricostruzione potesse mettere fine all’annosa ferita dell’emigrazione. Poi, poco alla volta ci siamo resi conto che le persone hanno avuto la casa, ma hanno perso il paese. L’errore principale è stato non capire che i paesi andavano verso lo spopolamento. I decisori politici di allora, che in qualche caso sono gli stessi di adesso, non hanno capito che i paesi non potevano avere lo sviluppo demografico immaginato”.

“Noi oggi abbiamo un grande patrimonio edilizio in Irpinia, abbiamo comunque dei paesi bellissimi, il paesaggio di questo pezzo di appennino e i paesi sono stupendi. Chi verrà negli anni a venire troverà luoghi belli e accoglienti. Forse non è servita negli anni scorsi la ricostruzione, ma servirà negli anni a venire”.
La questione adesso è rispondere alla domanda: “Che cosa facciamo di questi luoghi?”. Arminio afferma che “c’è una carenza di dibattito, ma per capire che cosa fare qualcuno dovrebbe riconoscere alcuni errori fatti”.
Quarant’anni da quel 23 novembre 1980 da raccontare e ricordare: “La celebrazione è un po’ un’occasione mancata se non ragioniamo sul futuro di questi luoghi. Che cosa possono essere Lioni, Conza, tra dieci, vent’anni? Dobbiamo continuare a celebrare il terremoto, ma guardando avanti. Celebrare significa guardare al futuro, perché l’Irpinia è un luogo che è pieno di futuro”.
Il paese ricostruito a rischio spopolamento
Viaggio a Sant’Angelo dei Lombardi, paese simbolo del terremoto del 1980
di Alessandra Solarino e Augusto Piccioni
Siamo a Sant’Angelo dei Lombardi, nel cratere del sisma. Con i suoi 482 morti il paese simbolo del terremoto dell’Irpinia. Quella notte di 40 anni fa, nel crollo del bar Corrado, il luogo della socialità che oggi non esiste più, morì anche il giovane sindaco, Guglielmo Castellano. Persero la vita anche il parroco e il capitano dei carabinieri. Per un paese, i suoi punti di riferimento. Venne giù l’ospedale costruito appena un anno prima e il convento di Santa Maria delle Grazie con le suore e gli orfanelli. Un luogo dove oggi sorge un parco della memoria, con aceri e tigli tanti quante furono le vittime. “Sarà un memoriale eterno dove ognuno di noi potrà respirare l’aria che ci ha funestato quella notte ma che noi dobbiamo in qualche modo nobilitare per gli anni futuri” commenta il sindaco attuale, Marco Marandino. Quella sera si è salvato perché il nonno con il suo corpo lo ha protetto, facendogli da scudo, con la sua stessa vita.
Quel novembre del 1980, mentre ancora si scavava tra le macerie, divenne sindaca Rosanna Repole, che guidò Sant’Angelo nel periodo dell’emergenza e anche nella ricostruzione. E che ancora oggi svolge un ruolo attivo nella vita politica della comunità. Il paese venne ricostruito com’era e dov’era e riuscì a conservare la propria identità. “Le case sono state ricostruite ma la comunità si è disgregata” ci dice Carmine, uno degli abitanti, che quel giorno si salvò per miracolo dal crollo dell’ospedale.
Oggi il paese dagli oltre 5mila abitanti è passato a poco più di 4mila, e il Paese rischia lo spopolamento. Negli anni è entrata in crisi anche l’identità burocratica di Sant’Angelo, per la chiusura di uffici statali e del Tribunale, smantellato nel 2013. Oggi ci si interroga sul fallimento di quel progetto post sisma di rilancio del Sud, mentre i giovani, sempre più scelgono di andare via. “In ognuno di noi si è rotto qualcosa” ci dice Vittorio, anche lui sopravvissuto al sisma.
Conza della Campania, il paese della memoria e la Conza nuova
Nel Parco archeologico dell’antica Compsa, i resti del paese distrutto dal sisma di quarant’anni fa
di Alessandra Solarino e Augusto Piccioni
Il Mattino l’ha chiamato “il paese che visse tre volte”. Perché Conza della Campania non è soltanto il paese che oggi porta questo nome, ma è anche la Conza della memoria e quella dei prefabbricati. Ognuno racconta una storia. La Conza della memoria è quel che resta della Conza vecchia, colpita dal terremoto del 1980 che provocò 184 morti. Il sindaco di allora, Felice Imbriani, ricorda le donne che scavavano a mani nude tra le macerie, la nuvola bianca che avvolgeva il paese, lo sgomento di fronte a quelle case rase al suolo: “Pensai – racconta – che Conza non c’era più”. Sei mesi dopo, nasceva la Conza dei prefabbricati, a valle. “Ne ho un ricordo bello, eravamo tutti uniti, sia perché le case di legno erano piccole e vicine, sia perché c’era l’unione del post trauma. Certo vivevamo in piccole casette dove c’erano solo i servizi essenziali…”: Antonella Petrozzino è nata nel 1981, ha vissuto l’infanzia nei prefabbricati, dove giocava e andava a scuola. Per lei lo spaesamento è arrivato con il trasferimento a Conza nuova, nella scuola donata dagli americani costruita a norma, su due piani, con le fasce elastiche per attutire le scosse: “l’impatto per noi bimbi è stato strano, ci siamo ritrovati in una condizione nuova che ci ha fatto perdere l’equilibrio rispetto alle abitudini consolidate”. Antonella ricorda che all’inizio “era tutto nuovo ma non c’erano luoghi di identità collettiva, non avevamo neanche un albero sotto cui stare perché erano stati appena piantati”.
Perché Conza non venne costruita com’era e dov’era? “Il popolo di Conza già guardava alla valle, per l’artigianato ad esempio” spiega Imbriani. La scelta di costruire il paese in un luogo diverso emerse nelle riunioni con i compaesani, subito dopo il sisma: “in una di queste assemblee deliberammo la delocalizzazione con l’avvertenza che queste scelte dovevano essere confortate da indagine geologiche effettuate in loco, come imponeva la nuova normativa del 1981”. E quando arrivarono i rilievi geologici “il geologo disse: siamo in una zona a rischio sismico, ovunque voi costruiate, allora è meglio farlo in piano, con criteri di sicurezza”. Ognuno si preoccupò di costruire la sua casa, secondo le sue esigenze e nel rispetto delle regole urbanistiche. Ma quello che si perse fu il senso della comunità: “Conza storica era una grande famiglia – ricorda l’ex sindaco – la mattina quando si svegliavano dalla finestra dialogavano con il dirimpettaio”. Oggi non è più così.
Come negli altri paesi dell’alta Irpinia, i giovani hanno ripreso la strada dell’emigrazione. “Abbiamo avuto grosse realtà industriali – ci dice con amarezza l’ex sindaco – ma se non ci sarà un intervento statale anche queste fabbriche chiuderanno”.
Ma se c’è chi va via, c’è anche chi è impegnato per restare. “Non parliamo più di spopolamento o desertificazione, ma di inesistenza perché interi paesi rischiano di scomparire. Oggi tra i 2 e i 3mila giovani partono per l’Italia e per l’estero”: Maria Laura Amendola, insieme ad altri giovani, fa parte di “Io voglio restare in Irpinia”, un’associazione impegnata in iniziative e progetti culturali per rilanciare questi territori e costruire strumenti perché i giovani scelgano di non emigrare. “Cerchiamo di mantenere in vita dal punto di vista culturale e sociale quel che resta di questi luoghi – ci spiega – Soprattutto vogliamo contare nelle politiche dei prossimi anni affinché la voce del territorio emerga più forte”.
La Conza del passato fa parte di un Parco archeologico, insieme alle vestigia romane dell’antica Compsa, affiorate durante gli scavi, e Antonella Petrozzino è presidente della Pro Loco che lo gestisce. A questo luogo in cui il tempo si è fermato, nato dalla distruzione, è affidata la speranza di “una rinascita, che possa portare stimoli e nuove energie per l’economia locale”.