A 48 ore dalla tragedia la visita nelle zone terremotate e il ritorno a Roma. Il presidente Sandro Pertini manifesta disappunto dando voce alla disperazione dei sepolti vivi e alla rabbia dei superstiti, impossibilitati a salvare i propri congiunti senza gli attrezzi necessari. Il presidente della Repubblica nella sua “requisitoria” cita le leggi approvate nel 1970 dal Parlamento sulle calamità naturali e sgomento dichiara di aver scoperto che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione. Domanda più volte perché i centri di soccorso immediato non abbiano funzionato e chiede un intervento immediato.

A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana. Tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi.
Il discorso integrale di Sandro Pertini
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Il discorso integrale di Sandro Pertini
Sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. È vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate. Che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia, non è vero, come ha scritto qualcuno che si sono scagliati contro di me, anzi, io sono stato circondato da affetto e comprensione umana. Ma questo non conta. Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi.
E i superstiti presi di rabbia mi dicevano: “ma noi non abbiamo gli attrezzi necessari per poter salvare questi nostri congiunti, liberarli dalle macerie”. Io ricordo anche questa scena di una bambina disperata, mi si è gettata al collo e mi ha detto piangendo che aveva perduto sua madre, suo padre e i suoi fratelli. Una donna disperata e piangente che mi ha detto “ho perduto mio marito e i miei figli”. E i superstiti che lì vagavano fra queste rovine, impotenti a recare aiuto a coloro che sotto le rovine ancora vi erano. Ebbene, io allora, in quel momento, mi sono chiesto come mi chiedo adesso, questo: Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato?
Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate? Non bastano adesso. Vi è anche questo episodio che devo ricordare, che mette in evidenza la mancanza di aiuti immediati. Cittadini superstiti di un paese dell’Irpinia mi hanno avvicinato e mi hanno detto: “Vede, i soldati ed i carabinieri che si stanno prodigando in un modo ammirevole e commovente per aiutarci, oggi ci hanno dato la loro razione di viveri perché noi non abbiamo di che mangiare”. Non erano arrivate a quelle popolazioni razioni di viveri.
Quindi questi centri di soccorso immediato, se sono stati fatti, ripeto, non hanno funzionato. Vi sono state delle mancanze gravi. Non vi è dubbio e quindi chi ha mancato deve essere colpito, come è stato colpito il prefetto di Avellino , che è stato rimosso giustamente dalla sua carica. Adesso non si può pensare soltanto a inviare tende in quelle zone. Sta piovendo, si avvicina l’inverno, e con l’inverno il freddo. E quindi è assurdo pensare di ricoverarli, pensare di far passare l’inverno ai superstiti sotto queste tende. Bisogna pensare a ricoverarli in alloggi questi superstiti. E poi bisogna pensare a una casa per loro. Su questo punto io voglio soffermarmi, sia pure brevemente. Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice. Io ricordo che sono andato in visita in Sicilia. E a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse.
I terremotati vivono ancora in baracche. Eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto.
Quindi si provveda seriamente, si veda di dare a costoro al più presto, a tutte le famiglie, una casa. Io ho assistito anche a questo spettacolo. Degli emigranti che erano arrivati dalla Germania e dalla Svizzera. E con i loro risparmi si erano costruiti una casa, li ho visti piangere dinanzi alle rovine di queste loro case. Ed allora: non vi è bisogno di nuove leggi, la legge esiste. Ecco perché io ho rinunciato ad inviare, come era mio proposito in un primo momento, un messaggio al parlamento.
Si applichi questa legge e si dia vita a questi regolamenti di esecuzione. Si cerchi subito di portare soccorsi ai superstiti e di ricoverarli non in tende ma in alloggi dove possano passare l’inverno e attendere che sia risolta la loro situazione. Perché un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica. Un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana. Tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi.
Il memorabile discorso alla televisione sull’inadeguatezza dello Stato e l’appello agli italiani di mobilitarsi è un successo per il Presidente tanto amato da tutti. Migliaia di volontari nei giorni immediatamente successivi alla scossa raggiungono l’Irpinia.
La requisitoria di Pertini a reti unificate ebbe un grande impatto sulla popolazione. Fu una denuncia all’inabilità della macchina statale, incapace di agire in tempi rapidi. Quelle parole, però, segnarono un punto di non ritorno iniziato con le dimissioni del prefetto di Avellino, scappato dal palazzo – in parte crollato – per portare in salvo la famiglia, fino al coinvolgimento solidale di operai, docenti e tanti giovani che raggiunsero l’Irpinia per unirsi alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco.
È al termine dell’emergenza, che la denuncia di Pertini sull’incapacità dello Stato diventa più evidente. La speculazione della criminalità organizzata, l’imperizia di sindaci e amministratori, i consigli fallimentari dei consiglieri comunali portarono a sperperi ingiustificati e i decreti governativi a un all’allargamento a dismisura dell’area del terremoto, a partire da Napoli. Quasi raddoppiò il numero dei comuni del cratere originariamente coinvolti. Così la lenta macchina dei soccorsi fu antipasto di una ancor più lenta ricostruzione urbanistica. Il conseguente spopolamento e lo spostamento degli uffici nei piccoli centri burocratici decretarono la fine della ricostruzione sociale.
L’abbraccio

Passerà alla storia l’abbraccio a un superstite del terremoto dell’Irpinia. È il 21 novembre 1981 quando a un anno di distanza dalla tragedia, il Presidente Pertini torna sulle terre del terremoto e a Laviano, nell’Alta Valle del Sele in provincia di Salerno, come un padre rassicura.
C’è un simbolo cui è legato il racconto di questo Speciale Irpinia 40 anni dopo: l’abbraccio riconciliante di Sandro Pertini a un superstite avviene a Laviano dove l’anno prima, durante il sopralluogo, il Presidente della Repubblica incontrò disperazione e rabbia. Nel comune di duemila anime, in mille morirono.

Durante la “camminata” tra le macerie Pertini udì insulti, contestazioni, grida di chi perse tutto, di chi non voleva telecamere e fotografi, di chi da giorni scavava a mani nude cercando di salvare più vite possibili, di chi accusava i ritardi dell’intervento statale. Lo scenario è inimmaginabile per i più e così vicino a chi un terremoto l’ha vissuto, quanto reale a coloro che sono stati appesi tra la vita e la morte in attesa di essere estratti dalle macerie.

Il Presidente dello Stato passò e ascoltò parole e parolacce, dolore e disperazione. Senza dire molto portò quelle immagini con sé a Roma. Emozioni che diventarono spunto per stendere il discorso memorabile, lo stesso che 40 anni dopo giova ascoltare ancora una volta.