Falcone a Roma
“Non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del Khomeinismo”, dirà ancora Falcone in quel giorno tra i più bui nella storia della lotta alla mafia e forse anche della nostra Repubblica.
Palermo è sempre di più un pantano di veleni e ogni possibile iniziativa viene irretita da resistenze viscose come ragnatele. E’ in quei mesi che matura una scelta difficile, che molti ancora una volta rinfacceranno a Falcone come prova delle sue ambizioni mondane ma che forse era l’unica mossa concessa alla dignità di un uomo che non avrebbe mai ammesso di essere finito nella trappola di mille labirinti.
Nel febbraio del 1991 Giuliano Vassalli viene nominato Giudice della Corte Costituzionale e al suo posto come Ministro di Grazia Giustizia arriva Claudio Martelli, già Vicepresidente del Consiglio nel Governo Andreotti nonché numero due di Bettino Craxi nel Partito Socialista.
Al Ministero è vacante il posto di Direttore degli Affari Penali, il più importante tra i collaboratori del Ministro. Martelli ha un nome in testa ma sulle prime esita, come racconta a Files24:
“L’impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo episodico, fluttuante. Motivato solo dall’impressione suscitata da un dato crimine o dall’effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull’opinione pubblica”, dice Falcone in quei mesi, nell’intervista a Marcelle Padovani, che sarebbe stata pubblicata da Rizzoli con il titolo di Cose di Cosa Nostra.
Ma negli stessi mesi nell’ufficio di Via Arenula accarezza il sogno di cambiare l’approccio dello Stato nella lotta alla mafia, non più dalla trincea di Palermo ma dalle stanze di un palazzo di Roma dove si possono scrivere le regole, si può disegnare una strategia.
Il Metodo Falcone eletto a sistema. Ed è così che prendono corpo cose fino ad allora inaudite come la Procura nazionale antimafia e la Direzione investigativa antimafia
La Procura Nazionale, la resistenza dei magistrati
Il Maxiprocesso ha superato anche la prova dell’appello e cresce l’attesa per l’ormai imminente pronuncia della Corte di Cassazione, che avrebbe potuto rendere definitive le condanne dei boss di Cosa Nostra o, al contrario, spazzare via il lavoro di indagine che aveva portato ai risultati del Maxiprocesso.
La rivoluzione della rotazione