
Il racconto, con guida alla lettura Apri
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Le inchieste di Giovanni Falcone
Giovanni Falcone, ovvero il primo magistrato che è riuscito a guardare dentro le regole e le architetture di potere di Cosa Nostra, decifrandone la lingua impalpabile e spesso incomprensibile, almeno per i non siciliani. Il salto di qualità, la chiave con la quale con pazienza Falcone aprirà una a una le porte del labirinto che custodisce i segreti di Cosa Nostra, arriva alla fine del 1983, quando a San Paolo del Brasile viene arrestato Tommaso Buscetta.
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Il maxiprocesso
L’ordinanza-sentenza che porta alla sbarra gli uomini di Cosa Nostra reca l’intestazione: “Abbate Giovanni + 706”. E’ lunga circa 8.000 pagine e valuta la posizione di 707 indagati; di essi, 476 furono rinviati a giudizio. Il 10 febbraio 1986 – in un’aula bunker fatta costruire appositamente nel Carcere dell’Ucciardone perché il processo alla mafia potesse essere celebrato a Palermo – si affollano oltre 300 imputati e 600 giornalisti da tutto il mondo.
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Falcone, il pool e i suoi nemici
Dal trionfo della sentenza all’inizio della fine, è un passo. “Giovanni ha cominciato a morire tanto tempo fa. Questo paese, questo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciarono a farlo morire nel gennaio 1988”, dirà più tardi Paolo Borsellino, il collega e l’amico che più di tutti condivise la strada di Falcone. E’ la notte del 19 gennaio del 1988. Il Consiglio superiore della Magistratura deve scegliere l’uomo che succederà a Caponnetto.
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Falcone a Roma
“Non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del Khomeinismo”, dirà ancora Falcone in quel giorno tra i più bui nella storia della lotta alla mafia e forse anche della nostra Repubblica. Palermo è sempre di più un pantano di veleni e ogni possibile iniziativa viene irretita da resistenze viscose come ragnatele. E’ in quei mesi che matura una scelta difficile.
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Maxiprocesso: le ultime insidie
La mossa di Martelli va a segno. Il 30 gennaio 1992 la Corte presieduta dal giudice Arnaldo Valente emette una sentenza che conferma la quasi totalità delle condanne ottenute in primo grado mentre la gran parte delle assoluzioni pronunciate nel giudizio d’appello viene annullata e per gli imputati viene disposto un nuovo giudizio, che più tardi si concluderà anch’esso con una sentenza di condanna. E’ un successo su tutta la linea per Falcone e per le ceneri del Pool.
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Il delitto Lima
Scopelliti cade ma il Maxiprocesso va avanti, c’è la sentenza della Cassazione che inchioda i boss di Palermo. Il 1992 inizia con una promessa di giustizia che dura lo spazio di uno scorcio d’inverno. Cosa Nostra non può tollerare che per una volta lo Stato abbia vinto. Il 12 marzo all’Hotel Palace di Mondello è in corso un convegno organizzato dalla Dc palermitana ed è atteso Giulio Andreotti. A fare gli onori di casa sarà Salvo Lima.
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Quel giorno a Capaci, la strage
L’omicidio di Salvo Lima cambia tutto, e inizia la tempesta. Anche perché altre partite stanno iniziando e – anche se ancora non se ne comprende a pieno la portata – altri fronti si stanno aprendo e altre crisi si annunciano con tutto il loro carico di minacciose incertezze. A Milano si sta allargando l’Inchiesta della Procura scaturita dall’arresto di Mario Chiesa, quello che Craxi avrebbe definito un “mariuolo isolato”. Il giorno della strage di Capaci.
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La reazione dello Stato
In uno dei momenti più drammatici nella storia della Repubblica, lo Stato è chiamato a rispondere alla brutale sfida di Cosa Nostra. E deve farlo mostrando di saper resistere e rispondere alla tracotanza stragista dei Corleonesi di Totò Riina ma deve farlo soprattutto senza tradire i suoi principi repubblicani e democratici. E’ un crinale sottile, quello sul quale gli uomini delle istituzioni si devono avventurare.
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